
Il mondo si trova ormai ad affrontare sfide che, con il passare del tempo, si fanno sempre più difficili e complesse. Le problematiche con le quali ci si confronta sono infatti ormai “trasversali”, e interessano molteplici campi e discipline: non si può parlare di energia senza considerare anche l’impatto che la produzione ha sull’ambiente; di cibo senza tenere presente anche l’acqua, fondamentale per l’agricoltura e l’allevamento; di trasporti senza valutare le problematiche legate alla sicurezza. Senza contare che spesso i problemi (e quindi anche le soluzioni) richiedono approcci multidisciplinari, e quindi investono più settori contemporaneamente.
In questo scenario diventa quindi fondamentale la ricerca, ambito nel quale l’Italia, storicamente, non brilla. Tanto che l’Istat, nel suo rapporto “Bes 2016”, sottolinea come la posizione del nostro Paese nel contesto europeo “è ambivalente, con ritardi strutturali nelle attività di ricerca associate a performance significative relativamente alla propensione innovativa delle imprese. Nel 2015, la quota di investimenti nella proprietà intellettuale rimane sotto la media europea così come la quota d’occupazione di figure professionali altamente qualificate o dei settori high-tech”. E anche il numero di brevetti “permane su livelli bassi, registrando anche una riduzione nel periodo 2013-2014, mentre gli investimenti in ricerca segnalano un miglioramento nel 2014, raggiungendo la quota dell’1,38% del Pil, in crescita rispetto all’anno precedente e solo di poco inferiore all’1,5%, il target dell’obiettivo di Europa 2020”.
In termini numerici, l’istituto di statistica quantifica in 22,3 miliardi di euro la spesa dnel 2014 per R&S sostenuta da imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni private non profit e Università, con un incremento consistente sul 2013 in termini sia nominali (+6,2%) sia reali (+5,3%) soprattutto grazie al contributo del settore privato, pari al 58,3% della spesa totale. Ma per il 2015 e il 2016 l’Istat stima che la spesa in ricerca e sviluppo sia nuovamente tornata a calare.
Il nostro Paese, poi, resta agli ultimi posti tra in Europa anche per risorse umane impegnate in ricerca e sviluppo: “Sebbene in aumento nel 2015 – sottolinea l’Istat –, la quota dei lavoratori italiani occupati in professioni scientifico-tecnologiche con formazione universitaria (15,7%) rimane distante sia dalla media Ue (21,6%) sia da quella della Francia (24,2%) e della Spagna (23%)”. E il rapporto mette in luce anche “la caduta del tasso di innovazione”, che risulta “evidente tra le piccole imprese, mentre le unità di grandi dimensioni mostrano un ulteriore miglioramento”.
Dai dati sulla situazione italiana appare quindi evidente come il Paese abbia bisogno di una nuova spinta propulsiva nel campo dell’innovazione, spinta che può arrivare dalla “Social Innovation”, attraverso la quale dare risposte concrete ai problemi più pressanti che la società intera si trova ad affrontare. La chiave di questa nuova “filosofia aziendale”, ormai adottata da diverse multinazionali (prima fra tutti Hitachi), è infatti non solo innovare, ma farlo cercando di ottenere risultati che estendano i propri benefici a tutta la collettività. Tenendo presente che la maggior parte dei problemi, anche essendo ormai globali, hanno ricadute diverse da regione a regione e perfino da Paese a Paese. In estremo oriente, ad esempio, dove le grandi città sono relativamente giovani e si espandono assieme alla crescita delle nazioni, è più facile integrare modelli di sviluppo, mentre in Europa e negli Stati Uniti le infrastrutture sono già esistenti.
Le priorità, poi, cambiano anche all’interno della stessa macroregione: i problemi che la Germania si trova ad affrontare sono diversi da quelli della Gran Bretagna, della Spagna e dell’Italia. Per Berlino, ad esempio, è fondamentale ridurre i costi energetici e diminuire l’impatto dell’inquinamento; per l’Italia sono più importanti i problemi relativi ai trasporti pubblici e alle infrastrutture per la mobilità.
I problemi globali, insomma, sono frammentati in micro-sfide locali, che necessitano di una vasta gamma di competenze per poter essere risolti. E il gruppo Hitachi è in prima linea grazie alle sue competenze multidisciplinari e agli investimenti proprio nell’area Ricerca e Sviluppo, che migliora e fonde l’esperienza tecnologica sviluppata nei settori dell’energia, dell’elettronica, dei macchinari, dei materiali, dei sistemi, dell’ICT, dei controlli, della produzione e della salute. Hitachi, inoltre, promuove anche l’open innovation, termine che indica la necessità, da parte delle aziende, di ricorrere a idee nate non solo al proprio interno ma anche al loro esterno, sviluppandole attraverso percorsi sia interni sia esterni ai mercati, in modo da progredire nelle competenze tecnologiche.